Dal «Selvaggio» del 30 novembre 1928 a firma di Mino Maccari leggiamo:
Una volta, ne' tempi dei tempi, in Poggibonsi c'era un comizio di disoccupati. - Pane e lavoro! - era la parola d'ordine di puro stile «proletario cosciente ed evoluto» che partiva, in mille toni, da mille bocche. Tutt'a un tratto, e senza che nessuno se l'aspettasse, si levo una voce stentorea, che dominando il tumulto fece chetare tutte le altre.
- Macche pane e lavoro! - grido l'improvvisato tribuno -
chiediamo piuttosto pane e ciccia!
La storia non riferisce quel che segui alla geniale proposta;
ma son vivi e vegeti quasi tutti i presenti al fatto; e
soprattutto e vivo l'autore e il lanciatore di quella magica
frase, dalla quale appunto ha acquistato imperituro
nomignolo. Vivo, e oltre che vivo, grasso pallato e il nostro
amico Pane - e - ciccia, fotografo insigne e commerciante
in binocoli; uno di spirito e intraprendente, piacevole
conversatore e motteggiatore secondo la classica
costumanza toscana.
L'altra sera, mentre gironzolavo come un'anima spersa, qual sono, nella buia e melanconica Piazza Umberto a Siena (la più brutta, anzi la sola brutta piazza di quella bellissima città), scorsi in un angolo un gruppo di gente fermatosi attorno a un arsenale che, nero nell'ombra, mi aveva del pezzo d' artiglieria o del cannocchiale. Era difatti un gigantesco cannocchiale, e per 1'appunto il cannocchiale di Pane - e
- ciccia, che nelle stagioni adatte si istalla con quell'apparecchio nelle città affollate di villeggianti,
come Viareggio, per far vedere la luna, ed altre stelle, ingrandite e avvicinate dalla lente potente.
Mi parve strano che si trovasse, in una stagione poco propizia, a Siena, e circondato da un pubblico
ben diverso da quello, assetato di distrazioni e di divertimenti, delle «stazioni balneari»; anzi, un pubblico serio, in un' aria direi familiare, benché qua e la scoppiasse qualche motto o qualche risatina.
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