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Capitoli:
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- Ibridazione fra un negro ed una bianca
- Aligocce (1888-1970)
- Ricordi di guerra
- II Partito Comunista nell'immediato dopoguerra
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- II Principe Barbaccia
- Poesie
Appassionato di motori ed in particolare di motociclette, negli anni dopo guerra ebbi occasione di partecipare a gare di scooter, sia con la Vespa che con la Lambretta, sia su strada che su circuito e con una moto di 125cc. di cilindrata a gare di campionato italiano di II Categoria. Nel 1950 avevo trenta anni ed a quella eta non si diventa campioni. Si ha troppa riflessione in confronto ai ventenni e siccome le curve le vediamo in altro modo, quelli ci passano avanti e ci lasciano indietro. Ma lo facevo per passione e mi divertiva molto. Pero il sogno e quello di partecipare alia «MILANO-TARANTO», la corsa di gran fondo, nota allora in tutto il mondo. 1300 chilometri su strade normali, impegnativa soprattutto come resistenza fisica e quindi indispensabile un allenamento razionale e prolungato. Nel 1951 trovo la moto adattae mi iscrivo. Mi viene assegnato il n° 97 e partiro il 24 giugno 1951 alle ore 1.25 dal casello daziario di Rogoredo a Milano. Raccontare le emozioni e impossibile, perche sono cose che bisogna provare. Tutta la strada, nella notte e illuminata da falo di appassionati per assistere al passaggio. Ai controlli moltitudine di folia addossata alle transenne, incoraggiano senza distinzione, tutti i partecipanti. Ma veniamo alia mia corsa. Tutto bene fino a Bologna che raggiungo ad una media di 97 Km/h., con una moto che al massimo poteva raggiungere i 120 km all'ora. Ma alia prima curva di Pianoro, all'imbocco della salita della Raticosa, mi si rompe la molla del richiamo del cambio, che azionava a bilanciere. Quindi tutte le volte che dovevo cambiare, ero costretto a richiamare con il piede la levetta. Perdita di tempo non indifferente in un percorso tutto curve, come la Bologna-Firenze di allora. (Passo della Raticosa, Passo della Futa). Comunque al controllo di Firenze viaggio con una media di 85 km/h., dopo 343 chilometri di strada. Ma il patatrac arriva proprio a Poggibonsi, ai ponti di Drove. Era in costruzione il secondo ponte venendo da Firenze, quello addossato alia curva. Meta strada era stata chiusa con una transenna. Com'e, come non e, la macchina scarta sulla sinistra e mi ritrovo con la ruota anteriore contro il muro. Non mi faccio niente, ma la corsa e finita con la ruota divenuta come un otto. Sembra strano, ma nonostante questo, mi sento un centauro che ha partecipato, NIENTE PO PO DI MENO CHE ALIA MILANO- TARANTO. Non e successo a tanti e quindi ne sono maggiormente orgoglioso anche se ai Ponti di Drove, avrei dovuto fare piu attenzione. Ma tutta la strada per 1300 chilometri, e piena di insidie e quindi poteva capitare un incidente anche piu in la. Ma, per la miseria, proprio a Poggibonsi non va bene!!! L'anno successivo mi iscrivo nuovamente per tentare ancora l'avventura. Inizio gli allenamento facendo chilometri su chilometri, ma all'improvviso una colica renale mi costringe a rinunciare per quell'anno e per sempre. Amareggiato buttai giu due righe che inviai alia rivista settimanale MOTOCICLISMO che graziosamente voile pubblicare sul n. 25 del 28 giugno 1952. L'articolo era intitolato: «Dovevo fare la Milano-Taranto e invece... Sono rimasto a casa. Mi sono creduto, fino a qualche giorno fa, un centauro; oggi mi sono accorto di essere solo un uomo con due gambe e non con quattro, possibilmente di cavallo, come un buon centauro dovrebbe possedere. Li ho visti partire per raggiungere Milano, ho sentito il primo rombo incerto dei motori appena avviati, ed io son rimasto a piedi, in fondo al lungo viale, convinto ancora di vederli, quando ben sapevo che erano gia scomparsi dietro la curva. Dovevano essere trecento i partenti per Taranto. Saranno 299. Io non posso partire. Io dovro accontentarmi di vederli passare. Sentirò il frastuono che mi inebria, il cattivo odore di ricino bruciato, che adoro, e non mi resterà che piangere. Di rabbia, di dolore, di un po' di tutto. Sono tre mesi che mi preparo. Accarezzo la macchina, la provo, la riprovo. La notte non fo che sognare. Mi vedo campione fra i campioni. Sogno vittorie su vittorie. Ed il giorno intanto faccio chilometri. Poi smonto il motore lo rimonto, lo riguardo, 1'accarezzo. E comincio a sognare anche di giorno ad occhi aperti. Mi sento un centauro. A tutti dico anch'io faccio la Milano-Taranto. E mi sento un altro. Vedo che mi guardano con certi occhi, come per vedere un essere strano, quasi soprannaturale. Ed intanto il grande giorno si avvicina. Mi iscrivo, vedo il mio nome su un giornale roseo, accanto a quello di tanti veri centauri. Ed i sogni aumentano di giorno e di notte. Poi tutto crolla. Dottori d'intorno, qualche professore che di motori non s'intende, che non capisce come possa rischiare, magari la vita, per un giorno solo di gloria. Per lui sono un pazzo se gli dico: "Eccoti dieci anni di vita, ma fa che possa correre". Non capisce. Non e una specie di centauro come sono io. Solo allora, forse, ci si potrebbe intendere. Non vuol darmi quel che voglio, cioe la forza per correre ugualmente anche se il fisico non può. Forse, e ci penso solo ora, non poteva darmela neppure lui. E cosi resto a vedervi passare. Voi fortunati 299 che avete potuto prendere il via. Correte
Controllo di Firenze, poco prima della caduta ai ponti di Drove a Poggibonsi
anche per me, vi prego, per me 300° mezzo centauro rimasto al bordo della strada, con le lacrime che vengono fuori da se. Avrei fatto a meno di tutti i sogni di gloria e di vittoria, pur di partire, pur di sentire anche solo per alcuni chilometri l'entusiasmo di quelle folle lungo le strade d'Italia, e quegli occhi che si posano su di te e ti danno la forza di andare. Forse non molto lontano mi sarei fermato, ma sarei stato un centauro anch'io. Uno di voi, uno di quelli che verranno e che saranno sempre di più, perché sempre più numerosi saranno quelli che verranno e che saranno sempre di più, perché sempre più numerosi saranno quelli che vorranno udire il grido di queste folle e sentirsi addosso quegli occhi che ti danno la forza di andare sempre di più. Mando al più presto il mio corpo ai ferri di quei professori, affinché gli venga tolta la parte malata. II mio spirito resta qui ad accarezzare il motore, a provare la macchina, quella macchina che l'anno prossimo mi porterà a Taranto». Per quell'anno ero iscritto con il n. 186. Anno 1952.