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Capitoli:
- Come divertirsi tra due guerre
- Le feste al Teatro dei Ravvivati Costanti
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- Fiere e Mercati
- Il gioco del pallone
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- La "Mille Miglia
- Milano - Taranto
- Le Reginette
- La fiera dell' Impruneta
- Ricordi di Guido Stricchi
- Quel 9 Maggio 1920
- I fatti dell'Agosto del '20
- Chi era Dario Frilli
- II Comandante Viciani
- Pane e Ciccia
- II servizio postale negli anni '20 e '30
- La cantina Fassati
- La popolazione in centro ed in campagna
- Disgrazia Aviatoria a Tripoli
- Fatti del "dopoguerra
- Pre-scolastica anteguerra"
- II matrimonio di Coccolo e Piona
- I Podestà nel periodo fascista
- Il delitto Rosi
- Ibridazione fra un negro ed una bianca
- Aligocce (1888-1970)
- Ricordi di guerra
- II Partito Comunista nell'immediato dopoguerra
- Renato Bianchini pugile
- Milano - (Poggibonsi) - Taranto
- Il campanile e l'orologio
- Strapaese
- II Principe Barbaccia
- Poesie
Alle ore 13,06 del 29 dicembre 1943, 18 bombardieri americani del tipo Marauder B26 del 17° gruppo bombardieri, sganciarono su Poggibonsi 26 tonnellate di bombe. Fu colpita soprattutto la zona dei Fossi, il gioco del pallone, la fabbrichina ed il Teatro. Per quanto riguarda quest'ultimo, si interrompeva cosi, tragicamente, un'attività ultra centenaria, di un sodalizio che aveva dato enorme lustro alla nostra cittadina. A questo punto occorre dare la parola al Dott. Alessandro Del Zanna, che fu per molti anni Presidente dell'Accademia proprietaria del Teatro, che con le sue memorie pubblicate negli anni '51 e '52 sulle «Miscellanee Valdelsane» ha lasciato un ricordo tangibile della frenetica attività culturale, musicale, spettacolare e ricreativa sviluppata in quei cento e piu anni di vita dell'Accademia. Voglio ricordare, solo a titolo di cronaca, che i lavori per la costruzione del Teatro iniziarono nel 1821 e solo dopo otto anni, la sera del 27 dicembre 1829 (era una domenica) fu finalmente inaugurate con 1'opera «Elisabetta Regina d'Inghilterra». Fu un caso che proprio di dicembre, (dopo 114 anni e due giorni) apparecchi, alleati della Regina d' lnghilterra, distrussero il complesso. Non lo sappiamo, ma talvolta corsi e ricorsi della storia appaiono quasi evidenti. La parola al Dott. Alessandro Del Zanna: «Nel 1938, per invito della Corporazione dello Spettacolo, io stesi una breve storia del nostro Teatro utilizzando l' archivio del teatro stesso nonchè le testimonianze dei più vecchi paesani. Non mi risulta che tale mio scritto fosse pubblicato; d'altronde pochi mesi dopo si aveva l' occupazione dell'Albania e nel settembre '39 scoppiava la II guerra mondiale: s 'iniziava cioè quel periodo convulso nella vita della Nazione che doveva portarci ai disastri del '43- '44; e c 'era altro da pensare che alle passate vicende dei teatri! II bombardamento del '29 dicembre '43 distrusse il Teatro e non si trovo traccia dell'archivio dov'era copia del mio dattiloscritto; e poi negli ultimi anni sono scomparsi quasi tutti i piu vecchi di me, perciò questi appunti sono stati buttati giù a memoria: prezioso informatore e rimasto Giovanni Bruschettini, appassionato musicofilo e corrispondente di riviste teatrali, ma non abbastanza anziano per illuminarci sulle vicende del secolo scorso. Ai primi dell'800 esisteva un teatro di cm nulla sappiamo, certo un teatruccio che pare fosse dove ora e la casa n° 22 di via Maestra (oggi via della Repubblica) nel cui ingresso si vedono due colonne, probabile avanzo dell'atrio, mentre sul dietro una costruzione (pur'essa distrutta dalle bombe) scavalcava Galluriuzzo - via Antonio Frilli - congiungendosi col posteriore isolato di case e ottenendo la necessaria profondità. Sappiamo solo, per tradizione, che tale teatro brucio e che i proprietari decisero di costruirne un altro molto più bello e più grande fra gli orti Bacci e Morelli, il Gioco del Pallone e la via dei Fossi: una magnifica costruzione di cui anche un secolo dopo si potè constatare la solidità e la razionalità, specie per quanto riguardava la copertura. Fu terminato nel 1828. Nel 1880 fu restaurato, arricchito d'un atrio grazioso, decorato con stucchi e dorature, fornito di locali accessori, dotato di scene e di un magnifico telone; i lavori furono eseguito sotto la direzione dell'architetto Luigi Fusi, fiorentino d'elezione, ma poggibonsese di famiglia e di nascita. II teatro si presentava molto elegante, con 44 palchetti assai vasi distribuiti in tre ordini, secondo lo schema comune ai teatri settecenteschi di cui rimane uno degli ultimi esemplari il teatro dei Rozzi a Siena, condannato anche questo a prossima fine per divenire Cinematografo. Nella Quaresima dell'81 il nostro teatro cosi rinnovato fu inaugurato coll' opera "La Favorita " di Donizetti: spettacolo eccellente che richiamo anche molti forestieri, specie da Siena. Non c'era ancora la ferrovia di Colle, che fu inaugurata nell'85; da allora Colle ha sempre dato buon concorso di pubblico ai nostri migliori spettacoli: si facevano anche treni speciali. Direttore fu G. Bizzarri, che apri una scuola di musica in paese; violino di spalla Rinaldo Franci, soprano la celebre Tabacchi. La fantasia popolare, piu che dalle virtù canore della prima donna, fu colpita dal fatto ch 'ella si faceva condurre in carrozza dall'albergo al teatro distante pochi passi. L' attività del teatro, gia notevole in precedenza, s' intensificò ancora: moltissime le opere di repertorio datevi, nonchè spettacoli di prosa, operette, varietà. Nel '97nuovirestauri, la creazione di 6palchi di proscenio, I'impianto del riscaldamento ad aria, e lavoro più importante, la sostituzione della luce elettrica al petrolio, che permise, fra l' altro, di abolire la bella ma ingombrante lumiera centrale, la cut calata dalla botola della volta, prima dello spettacolo, destava la curiosità del ragazzi. Era opera dell' artista paesano Pietro Puccioni. In quella occasione la società proprietaria che aveva assunto 70 anni prima il pomposo appellativo di "Accademia de Ravvivati Costanti" si rivolse alla Consulta Araldicaper avere uno stemma, e le fu dato I'Araba Fenice che risorge dalle sue ceneri affissandosi nel sol nascente. Fu dipinto nell'arco vocale, rifatto, mentre rimase intatta la decorazione del soffitto della sola, in cut una larga fascia portava i medaglioni di Goldoni, Alfieri, Rossini, Doninzetti, Bellini e Verdi. L'inaugurazione fu celebrata col "Faust" di Gounod. Fra i grandi artisti che vi recitarono mi limito a ricordare i sommi Ernesto Rossi e Tommaso Salvini nel 1874, e Giacinta Pezzana nel 1906. Fra i più insigni direttori d'orchestra meritano particolare menzione Graziani, Zuccani, Lucon e Borlenghi. All'eccezionale sforzo dell'80-'81 segui un periodo di mediocri produzioni, ma verso la fine del secolo si rialzo, diciamo così, il tono degli spettacoli lirici e si ebbero, sia pure a intervalli di anni, opere eccellenti con artisti di valore: Traviata e Ruy Bias nel '96 col tenore Amedeo Bassi che poi conquisto fama mondiale; Faust nel '98, Cavalleria Rusticana nel '99 colla soprano Busi e il tenore Percopo, la Boheme nel '901 colla soprano Zoccoli e tenore Sirchia, la Mignon di Thomas nel '905 (tenore Battain), la Manon Lescaut di Massenet nel '906 (tenore Rambaldi), Tosca e Madama Butterfly piu volte con Maria Bruni e tenori Mariotti e Galliano Masini, l'Amico Fritz (1° violino Salvadore Guidi), l 'Andrea Chenierdi Giordano, la Vallydi Catalani. Quest'ultima (1922), sotto la direzione dell' Angela Borlenghi, ebbe un enorme successo e fu ripetuta 18 sere, sempre con teatro ricolmo. Fu una rivelazione dell' infelice Maestro lucchese, ma sconosciuto in vita e poco conosciuto anche dopo morto. Fra le sue opere eccellono Loreley e Vally, che sono, musicalmente, due capolavori. Non si danno quasi mai, e sono ignorate, si può dire, anche dalla Radio che invece ci da spesso i soliti brani delle solitissime opere, e ci propina venti volte al giorno musica orrenda o smidollatamente melensa. Al nome di Alfredo Catalani s'intitolo un nuovo corpo musicale sorto a Poggibonsi in quell'anno. Di solito le opere erano eseguite a cura d'impresari cui l'Accademia corrispondeva una dote anche per risarcirli dell'uso dei palchi da pane degli Accademici; ma quando si voleva fare uno spettacolo serio e decoroso, l' Accademia si addossava tutte le spese, rimettendoci fior di quattrini. A titolo di curiosità diro che il biglietto d'ingresso per l' opera era di 40 centesimi (30 per la prosa) alla fine del secolo scorso, e 50 al principio di questo. Nel 1906 per la Manon Lescaut, date le ingenti spese (il solo tenore costo 1000 lire, part a 200 mila d'oggi), si portò il biglietto a 60 cent.: ebbene, la popolazione boicotto lo spettacolo che si ripete quasi sempre a sala semivuota. Dopo la guerra del '15- '18 collo sviluppo del paese e il maggior gusto per gli spettacoli, il teatro si rivelava sempre più insufficiente, e si penso di celebrarne il centenario (1928) con ingrandimenti e migliorie. I lavori, come le due volte precedenti, furono affidati allo stesso architetto Fusi che aveva dato a Firenze, a Poggibonsi e altrove molte prove della sua perizia e del suo buon gusto, e che si era specializzato nel rifacimento e ammodernamento di teatri. Venne coadiuvato dall'lng. Ferruzzi di paese. Fu creata la galleria o loggione capace di 350posti, colla conseguente necessita di rialzare il tetto e la volta; furono aumentati e arredati modernamente i camerini per gli artisti, perfezionati gli accessori del palcoscenico ingrandito/, riordinati i servizi idrici e di riscaldamento, rifatto tutto I'impianto d'illuminazione internato net muri e isolato con la folaxite, e montata una cabina per manovrare i proiettori e le luci della scena, orchestra etc.; moltiplicate le uscite di sicurezza. Possiamo dire che il nostro teatro divento il più importante e meglio attrezzato di tutta la provincia. Perfronteggiare la spesa fu contralto un mutuo ipotecario col Credito fondiario del Molte dei Paschi che con esagerata prudenza non volle dare più di 15O mila lire nominali su un edificio che ne valeva almeno un milione: basta pensare che nel fabbricato, oltre il teatro erano compresi i bei locali de "Le Stanze ", 4 quartieri d'abitazione, botteghe e magazzini. I lavori si protrassero al di la di ogni previsione e d'altrettanto aumento la spesa. Si dovette ricorrere a mutui cambiari con banche e privati; ma ormai si era entrati nel concetto di far cosa che ridondasse a lustro e decoro del paese, e nessun particolare fu trascurato perchè il lavoro riuscisse completo: si spese così oltre il doppio del preventivo. Nelle feste natalizie del '29 il teatro fu riaperto con la "Loreley": spettacolo veramente magnifico che per 8 sere di rappresentazione portò all' Accademia una perdita di oltre 80 mila lire. II tenore Mulleras non piacque e fu dovuto sostituire; ma la cosa non era facile e cifece perdere varie serate di sicuro incasso. II Mulleras, negando che ci fosse stata una vera protesta (perchè non venne fischiato), intento causa all'Accademia che la vinse, ma spese somme non indifferenti. Intanto una gran frenesia per il teatro si era sviluppata nella popolazione e tra gli accademici, coll' idea di utilizzare e far conoscere il nostro bel locale: altri spettacoli furono allestiti in continuazione, fra cui due stagioni di operette colle compagnie Riccioli-Nanda Primavera ( "Rompicollo " di Pietri suscito un vero delirio) e poi Lombardo, che ci diedero produzioni sfarzose ma l'Accademia si trovo oberata da un debito di quasi mezzo milione, somma paurosa in quel tempo, ed io che come Presidente avevo la prima firma in proprio su un mucchio di cambiali, ebbi periodi di non lieve preoccupazione, tanto più che parecchi accademici non si dimostrarono solidali con la maggioranza. Si decuplicarono le tasse dei soci (una quarantina) e si addebito a ciascuno la somma di L. 6000 pagando la quale, in toto o a rate, veniva ridotta in proporzione la quota mensile. Non bastando do a fronteggiare il disavanzo, si venne nella determinazione di adibire il locale anche ad uso di cinematografo, la cui gestione fu affidata a una Commissione interna che garantiva all'Accademia una congrua entrata annua. Fu sacrificato il palco d'onore che spettava a turno all'accademico d'ispezione (carica ormai caduta da tempo in disuso) e vi fu installato l'impianto del Cine muto, sostituito dopo qualche anno da un perfetto impianto pel Cine sonoro; ma il Teatro non subì alterazioni di sorta e potè tornare alle sue vere funzioni tutte le volte che se ne presento la possibilità. Le ultime opere datevi furono "Traviata" e "Lucia" con Lina Pagliughi nel '40 e "Fedora" di Giordano nel '42 con Rina Corsi: due astri del "bel canto ". Poi ci raggiunse la guerra che si accanì in misura inaudita contro il nostro paese, forse per la sua centralità: 54 bombardamenti ufficialmente constatati fra Poggibonsi e le immediate vicinanze. Nel secondo del 29 dicembre '43 andò distrutto il quartiere dei Fossi e tutta la pane centro-orientale del paese: del Teatro non rimase che un cumulo di macerie sotto cui fu sepolta la madre del nostro custode Berlinda Marini, una delle cento vittime di quella tragica giornata. Dopo mesi fu miracolosamente disseppellita quasi intatta la macchina di proiezione. Per capire tutta l'importanza che il Teatro ebbe nella vita paesana debbo aggiungere che vi si tenevano annualmente i veglioni di carnevale e talvolta feste di beneficenza, gare bandistiche; vi si svolsero concerti del ricordato Rinaldo Franci, Fanfulla Lari, Mario Corti, e Miecio Horszowski, Arrigo Provvedi, della Corale senese e del Quintetto senese; commemorazioni di grandi scomparsi come quelle di Verdi e di Mazzini (tenuta dal sottoscritto); conferenze scientifiche (Stiattesi, padre Alfani, prof. Virgili) e artistiche per conto della "Pro Cultura " che possedeva una macchina eccellente per proiezioni fisse e cinematografiche; grandiose adunate e cerimonie patriottiche. Era il più grande e bel locale che Poggibonsi potesse offrire, e l'Accademia lo mise sempre liberalmente a disposizione per tutte le buone e sane iniziative. Ne possiamo omettere l 'influenza ch' ebbe il teatro sui nomi di battesimo. II secolo scorso, tutto imbevuto di classicismo, ascolto con vera passione le tragedie greche più o meno mal tradotte, quelle di Scipione Maffei, dell'Alfieri, delMonti, del Niccolini; e spuntarono i nomi di Mirra, Elettra, Medea, Merope, Argia, Elena, Penelope, Polissena, Virginia, Ottavia, Anchise. Enea, Nestore, Priamo, Pindaro, Telemaco, Egisto, Ettore, Antenore, Aristodemo, Flaminio, nonchè coppie di fratelli chiamati Oreste e Pilade, Eteocle e Polinice. Successivamente prese il sopravvento l'opera lirica, ed ecco comparire Norma, Adalgisa, Amina, Elvira, Amelia, Linda, Rigoletta, Eleonora, Norina, Lola, Tosca, Gilda, Fedora, Ezio, Belisario, Alvaro, Foscaro, Faliero, Nemorino, Otello, Elvino, Alfio, Turiddu. La passione per l'opera e la musica fu tale, alla fine dell' 800 ed ai primi del '900, che si ebbero famiglie con 4 musicisti, padre e 3 figli, come quelle di Angiolo Antichi e Armando Bencini; comuni le famiglie con 3 musicisti (altra f. Bencini, Capezzuoli, Guidi, Marri) e comunissimi padre e figlio musicisti. Anche la storia del nostro teatro e naturalmente fiorettata di aneddoti gustosi: battute di spirito (spesso triviale), liti e vie difatto tra spettatori, contrattempi, bottate fra attori e pubblico, tra orchestra e direttore, fra suonatori e cantanti. Ne cito due di cui rimane ancora traccia nel gergo paesano. Nel 1868fu dato il melodramma buffo "ilpazzoper amore, ovvero il ritorno di Columella dagli studi di Padova", piu brevemente "Columella" del M° Fioravantifiglio. Lo spettacolo, malpreparato, fu un 'ira diDio: attori che non sapevano la pane, stonature dell'orchestra, stecche dei cantanti, incertezze, confusione. Le riprovazioni rumorose del pubblico raggiunsero un tale diapson che si dove calare il sipario e interrompere la rappresentazione. Mentre il pubblico stava sfollando il teatro, si presento alla ribalta certo Petri detto Feo di Tettia: un tipo. Tutti si voltarono curiosi di sentire quello che avrebbe detto; e Feo disse: "Domani sera, a richiesta generate, un altro "Columella ". Si scateno una tempesta di urli,fischi, improperi, a con un gesto e un motto che gli valsero l'arresto e parecchi giorni di prigione. Nel 1898, alla prima del "Faust" il tenore Terlizzi mostro qualche incertezza nella famosa romanza "Salve dimora casta epura", e fu zittito dal pubblico; si udì anche qualche sibilo, ed egli se ne stava intimorito quando a rincuorarlo usci di tra le quinte il baritono, che abbracciandolo gli disse: "Non dar retta, hai cantato benissimo: te lo dice il baritono Cerratelli". Ne nacque un putiferio: il pubblico si ritenne offeso e I'imprudente dovette scusarsi perché lo spettacolo potesse continuare; ma la sua frase "te lo dice il baritono Cerratelli" vien ripetuta anch'oggi, dopo mezzo secolo, da chi vuol dare scherzosamente autorità ad una affermazione. E poiché ho parlato della vita teatrale di Poggibonsi, mi permetto ricordare che nell'ultimo ventennio del secolo scorso e al principio di questo vi fiorì una Filodrammatica intitolata a Tommaso Gherardi del Testa, un autore allora in voga, oggi affatto dimenticato. Ne facevano parte impiegati, esercenti, studenti, professionisti, signore e signorine di buona famiglia, come allora si diceva. Ottennero notevoli risultati, e recitavano in Teatro per le grandi occasioni o dopo accurata preparazione; pero loro palestra ordinaria fu il "Teatrino" che stava dove ora e I'Ufficio postale: locale modestissimo ma simpatico dove ci si trovava come in famiglia, e che ospito 100 volte piccole compagnie comiche di passaggio, giocolieri, prestigiatori. Vi si tenevano anche conferenze politiche e comizi, specie socialisti, mentre nella sala sovrastante del circolo "Vittorio Emanuele" si avvicendavano oratori liberali monarchici. Anche in tempi posteriori si sono avuti buoni complessi filodrammatici, come la "Valdelsana" diretta da Sebastiano Landozzi, che hanno lottato e lottano onde mantener viva la passione pel teatro di prosa; ma purtroppo il Cinema e la Radio ne affrettano sempre più la scomparsa. Per finire accennerò che nell'Arena "Eden" (ex orto di Mauro) simpaticissimo ritrovo estivo nei primi anni del secolo, funziono un teatrino dove si ebbero buoni spettacoli di prosa e perfino opere, sia pure a scartamento ridotto. In tempi più recenti si ebbe un teatro all'aperto nel piazzale interno delle nuove Scuole ove si esibì, fra le altre, la compagnia di prosa del Carro di Tespi. Distrutto il Teatro, I'Accademia si autoliquido. Per pagare i debiti residui vender area e le macerie a un Comitato di coraggiosi cittadini che vi hanno fatto sorgere il Politeama dei "Ravvivati Costanti" Progettisti Arch. Carlo Del Zanna e Ing.re Ernesto Stringa. Per ora e solo un grandiose e bel Cinematografo; ma colla creazione, che auguriamo prossima, di un palcoscenico, esso potrà riprendere anche le funzioni di teatro, continuando le gloriose tradizioni di quello scomparso. Pietro Del Zanna Dopo 1'ampia disamina del Dott. Del Zanna, mi piace per quanto mi riguarda, ricordare solo le feste da ballo che vi si tenevano ed alle quali ho partecipato. Voglio portarvi come in un sogno, nel quale rivivremo quei momenti. Intanto, vogliamo entrare in Teatro. L'ingresso, per niente sontuoso, nella piazza omonima per tutti, anche se di nomi ne ha cambiati moltissimi, da Muzio Muzzi in epoca Napoleonica e Leopoldina, ad Umberto 1° in periodo prebellico, a quello dei Fratelli Rosselli come attualmente si chiama, ma che per i Poggibonsesi e sempre stata la Piazza del Teatro, anche quando il Teatro non c'era più. Sara bene a questo punto presentare la planimetria per facilitare la migliore conoscenza dell'ambiente. Si pagava il biglietto al botteghino dopo di che si entrava nell' ampio atrio (foyer) che a sua volta dava accesso anche al bar,molto ben arredato. A meta dell'atrio, sulla sinistra, si saliva quattro e cinque scalini e si raggiungeva la sala, capace di circa 200 posti a sedere. Alzando gi occhi si ammirava la splendida corona dei 50 palchi sui tre ordini, che terminava con il loggione capace di circa 350 posti. Davanti all'ampio palcoscenico la fossa dell'orchestra. Vi ho descritto sommariamente 1'ambiente ed ora veniamo alle feste. Era tanta e tale la preparazione e cosi impegnativa, che se ne poteva fare, solo una all'anno e non tutti gli anni. La data era scontata. L'ultimo giorno di carnevale, il martedì. La platea veniva svuotata completamente dovendo servire solo per ballare. Al di fuori della sala era un via vai convulse, specie nei corridoi di accesso ai palchi. Quest'ultimi erano i locali protagonisti della festa. Occorre ricordare che i palchi erano di proprietà di famiglie, che venivano tramandati di padre in figlio fin dalla fondazione dell'Accademia, avvenuta negli anni 1820- 1825 e che potevano anche essere ceduti, pero con il consenso dell'Assemblea dell'Accademia. Ne abbiamo un esempio del 1890. in cui si evidenzia il passaggio di proprietà di un palco del Teatro da Pietro Martini a Mariano Consortini per la favolosa somma di Lire Cento. (22 ottobre 1890). Non sto scherzando, affermando che era una cifra favolosa. Non riesco a rapportare la cifra al valore di oggi, ma so di sicuro che non si cedeva tanto facilmente un bene che era di poco conto come valore effettivo della parte dell'immobile, ma di grandissima importanza in quel paese. Avere il palco padronale al Teatro, era un evidente segno, il riconoscimento di alto ceto sociale, ed in quell'epoca una famiglia benestante e facente parte indiscutibilmente, di una elite a cui non tutti potevano aspirare. Colui che si poteva permettere di acquistarlo, raggiungeva un gradino elevato nelle considerazioni dei compaesani, mentre d'altra parte, chi vendeva, vedeva ridursi il proprio prestigio e quello della sua famiglia. Ecco perché, a mio avviso il prezzo doveva necessariamente essere elevato. Va considerato inoltre, che il proprietario di un palco non pagava il biglietto d'ingresso in qualsiasi tipo di spettacolo anche se, essendo membro dell'Accademia doveva contribuire ai bisogni del bilancio dell'Accademia stessa. Quindi una posizione di tutto riguardo nel contesto sociale. Dicevo poc'anzi che il palco era uno dei protagonisti della festa. In ognuno di questi si imbandiva una cena. E questa, doveva essere eccezionale, spettacolare, superlativa. Sia per i cibi, i vini e gli spumanti, per i dolci particolari, per 1'apparecchiatura della tavola, per i fieri profusi. Tutto questo, in quanto durante la festa, era un via vai continue di amici e conoscenti, invitati o auto invitati, non importava, che da un palco all'altro facevano festa e portavano allegria. Coriandoli e stelle filanti piovevano sulle coppie che ballavano in sala. Poteva anche arrivare qualche biscotto e non ci giurerei, che non fosse piovuto qualche coscio di polio. I veglioni piu ricordati erano quelli mascherati, che venivano programmati con un largo margine di tempo, per ottenere il successo desiderate. In questo caso, la fantasia prendeva il sopravvento, ed i costumi in massima parte confezionati dalle mani sapienti ed esperte di numerose sarte, operanti a domicilio (ve n'erano molte in paese) oppure provenienti dai guardaroba dei Teatri fiorentini e senesi. Mascherate collettive riunivano le solite compagnie di giovani ed era una delle gare più attese, dotate anche di numerosi premi. Ed anche qui, l' originalità ed il buon gusto si evidenziavano. Ricordo una di queste mascherate collettive di un gruppo di giovani, ragazzi e ragazze, in abiti cinesi sfarzosissimi, saranno state una quindicina di persone, davanti ed al seguito di una portantina, sorretta da quattro baldi giovani, che ospitava una splendida fanciulla. Lascio tutti a bocca aperta e gli applausi si sprecarono. Penso che solo per il trucco, impeccabile devo dire, avranno certamente impiegato tutto il pomeriggio. Si ballava fino all'alba ed era consuetudine, che alla fine della festa, si andava a piedi, a San Lucchese, alla prima messa a prendere le ceneri. L'aria pungente delle prime ore del mattino, serviva a smaltire, non solo in parte la fatica accumulata, ma soprattutto I'effetto di qualche bicchiere di troppo, oltre ai probabili bollenti spiriti amorosi. Dopo di che, finalmente, 1933 - Veglione di Carnevale alia "Casa del Fascio" in Piazza del Teatro si andava a dormire. Non si ballava, in carnevale, solo al Teatro, ma anche al Circolo delle Stanze, al Circolo Vittorio Emanuele II, divenuta poi "Casa del Fascio" ed al Circolo dei Combattenti. Però sempre e solo di Carnevale e normalmente la domenica, talvolta soltanto di pomeriggio. Poteva darsi che passando per vie, non proprio del centro, si poteva ascoltare la voce di un grammofono che suonava ballabili alla moda. Un magazzino, uno scantinato, un ingresso di abitazione, appena agghindato con qualche pezzo di carta colorata, serviva ad amici comuni e relative amiche, a mettere insieme i classici quattro salti in compagnia. Abbiamo ballato, pensate un po', anche nel forno del Topo in via della Rocca. Tutti i posti potevano essere buoni. Si passava cosi un pomeriggio diverse, che normalmente contemplava una passeggiata in campagna, di tutti i componenti della squadra, guai se mancava qualcuno, per finire, dopo chiacchiere interminabili, strada facendo, sugli amori ed amorazzi di questo o di quello, dicevo per finire alle cinque della sera al cinema del Gori in via Maestra o da Icilio al Cinema Garibaldi in piazza Calda. Per le feste da ballo non ho finite, perché in un altro capitolo parlerò di quelle al "Circolo delle Stanze".