Ci si domanda, quanti erano gli abitanti di Poggibonsi negli anni passati. Occorre fare un'analisi accurata, in quanto gli abitanti del Comune erano una cosa e gli abitanti del paese un'altra. Dal 1500 in poi gli abitanti della campagna erano molto più numerosi dei paesani e ciò si e manifestato fino al 1936 allorché gli abitanti del Comune ammontavano a 13.781 di cui 4.500 circa in paese. Da allora la tendenza e andata via via invertendosi a causa dello spopolamento pressoché completo delle campagne limitrofe. Si passa in linea di massima dall'agricoltura all'industria e quindi all'urbanizzazione della popolazione. Ma andiamo per gradi. Nel 1551 in paese vi erano 1.274 abitanti, ma non sappiamo quanti erano in campagna. Per avere qualche paragone occorre arrivare al 1811 quando nel comune di contavano 4.266 persone di cui, 1.412 in paese. Nel 1832 in paese erano un po' cresciuti e cioè arrivarono a 2.550. Un accertamento più accurato si può avere intorno al 1861, cioè al momento del primo censimento dopo l'avvento del Regno d'Italia. Le cifre parlano chiaro sul fatto che la popolazione urbana era allo stesso livello della popolazione delle campagne. Infatti gli abitanti del centro erano 3.242, quelli di Staggia 1.042 e quelli della campagna 3.007.
La differenza e quasi costante fino al 1957 che si passava da 9.383 nel centro e 6.203 in campagna. Certo la popolazione era notevolmente cresciuta e ci si avviava ad un maggior incremento di benessere e maggior lavoro per tutti. L'inversione di tendenza significativa si ebbe con il censimento del 1961 che riporta 12.959 abitanti in paese, 951 a Staggia (abitanti in diminuzione) e 4.724 in campagna. La forbice si allarga ancor di più nel 1967 con 18.991 nel centro e 4.332 in campagna, compresa Staggia.
Oggi si può dire che le campagne sono completamente o quasi abbandonate e gli abitanti sostituiti daresidenti in centro che usano le abitazioni come seconda casa. E proprio in questi ultimi anni il fenomeno si e allargato per la ricerca di un po' di silenzio, di aria buona e di soggiorno tranquillo e credo che tutto ciò non potrà che aumentare, anche se i costi di vecchie abitazioni coloniche da ristrutturare cominciano a diventare proibitivi. Ma la ricerca di quanto abbiamo detto non fermerà sicuramente l'esoso inverso a quello che dal 1961 in poi, ha caratterizzato il fenomeno.
II Cinema del Gori in Via Maestra, dove attualmente c'è un negozio di carpe, accanto al Bar del Taglio, era formato da una lunga stanza, che andava da Via Maestra in Galluriuzzo. All'ingresso si trovava la cassa e sopra di essa, su un ballatoio era la macchina di proiezione. Entrando a sinistra vi era la zona con il prezzo piu alto, servito da seggiole singole. Invece a destra, si costeggiava lungo il muro, la zona anzidetta e si raggiungeva la parte anteriore del cinema, più vicino alla tela dello schermo. In questa zona vi erano sistemate delle semplici panche. Era la zona preferita dai ragazzini, che oltre a spender meno, si ritrovavano per fare gazzarra. II cinema era muto, ma i commenti e le grida di meraviglia o di paura, rendevano il tutto, molto più che sonoro. Erano frequenti le interruzioni per la rottura della pellicola ed anche queste soste servivano per altri fischi e schiamazzi, a mala pena contenuti dall'intervento del proprietario. Allora si cantava "Buzzicchio, scarpione, la nobile gattina". Non so propri cosa volesse dire, ma cosi era.
Dino Frilli ci racconta la storia della sua famiglia, e come e venuta a Poggibonsi. II nonno Edoardo Frilli, fiorentino, faceva di mestiere lo scalpellino ed in occasione della variazione della Via Maestra, da sterro in pavimentazione a pietra, fu ingaggiato proprio per la sua capacita di esperto in tratti di curva, come era necessario fare nella parte alta di Via Maestra, cosa evidentemente non facile per altri scalpellini.
II lavoro fu piuttosto lungo ed infine trovo moglie sul posto, sposando Gesualda Bianchini. Ebbe 5 figli, tre maschi e due femmine. Parliamo dei maschi erano Giovanni, Francesco e Cesare. Insieme costituirono il laboratorio di "trombai e stagnari" come vengono definiti in un articolo di giornale del 1921. Ma da una foto del 1920 si evidenzia che in quel tempo era gia iniziata la produzione di apparecchiature per la distillazione delle vinacce, che porto la Ditta Frilli ad essere conosciuta in Italia ed all'estero. I tempi sono cambiati ed e cambiata anche la Ditta Frilli, che ai giorni nostri, non esiste piu.
La Signora Fara Pertici, via Risorgimento n° 6 ci racconta:
L'uso delle mignatte era larghissimo ai tempi in cui non si conosceva la penicillina. Servivano nei casi di polmonite o di paresi. In entrambi i casi i medici prescrivevano l'uso di mignatte, alio scopo, penso di alleviare il dolore, ma soprattutto come salasso per diminuire la pressione. Venivano applicate generalmente dietro gli orecchi o sulla schiena. I risultati, secondo la moderna farmacologia, erano assolutamente nulli. Vorrei pero avere il giudizio di medici esperti, in quanto non e pensabile che questo continuo uso, all'epoca, non sia dovuto ad una certa esperienza positiva in alcuni casi. E bene ricordare che le mignatte stesse davano fastidio al malato e facevano senso di ripugnanza da parte dei familiari che le dovevano applicare, ma tutti questi fattori negativi, dovevano avere anche qualcosa di positivo, come contraltare.
A Poggibonsi le mignatte venivano tenute da Gemma del Vicario, che era figliola di Clemente Pagi e che aveva sposato Ezio Becattelli, morto giovanissimo. Gemma faceva la lavandaia per l'Ospedale ed il suo lavoro gli aveva forse suggerito di interessarsi della ricerca delle mignatte. Le andava a cercare in alcune zone umide del lungo Staggia, che in alcuni punti manteneva per lungo tempo il terreno umido e fangoso, habitat ideale per le sanguisughe.
Catturarle era semplice, in quanto bastava immergere una gamba o un braccio nella melma e queste si attaccavano immediatamente. Venivano poi sistemate in una conca, insieme al fango, dove potevano restare molto a lungo. Gemma abitava alla goretta, accanto alla trattoria della Morina. II nome di Goretta deriva dal fatto che essendo il torrente Staggia nei pressi della ferrovia, (allora), alio scopo di ricavare una postazione per lavare o per altri servizi, fu deviato una parte del torrente, proprio sotto la trattoria della Morina, in quella specie di piazzetta che ancora esiste.
In casi di polmonite venivano usate anche delle polveri derivate da sangue di lepre essiccato, probabilmente mescolato con altre erbe. All'epoca erano molto ricercate e diversi erano i medici-grilli che le preparavano.
Uno di questi, forse il più famoso era Caino (Santi Caini) allora colono al Pino di Montemorli. La formula naturalmente era segreta e devo riconoscere che un qualche risultato dovevano dare. Personalmente proprio in un caso di polmonite, ebbi occasione di provare proprio una presa di Caino. La notte la febbre andò vicino ai 40° e ricordo di delirare nel sonno, con una sudorazione da bagnare letteralmente il letto. Fatto sta che la mattina dopo, la febbre non c'era più. Penso di poter paragonare l'azione della presa di Caino a quella che oggi potrebbe derivare dall'uso di aspirina. Chissa cosa c'era in quella pozione di polvere essiccata?
Nella guerra ' 15-' 18 i fratelli Antonio ed Angelo Pratelli furono arruolati entrambi in fanteria, ma in reparti diversi. Non ebbero quindi occasione nell'arco degli anni, di incontrarsi se non raramente. L'incontro avvenne però, in circostanze tragiche, in un'azione di assalto e sotto il bombardamento nemico.
Per cercare di evitare lo scoppio delle bombe, gli assaltatori si rifugiavano di volta in volta nei crateri provocati da precedenti esplosioni. Bisogna dire che tutto questo avveniva di notte e solo i bagliori degli scoppi illuminava la scena. In una buca si ritrovano in tre o quattro fermi in attesa di ripartire ed allora ci si domanda il nome o il reparto. Ecco che un quell'occasione si ritrovarono Antonio e Angelo Pratelli, fortunatamente scampati in quell'azione, ma scampati anche da tutte le insidie della guerra. Insomma riportarono entrambi, la pelle a casa.
Amperio Brizzi detto Ampelio, non aveva molto voglia di lavorare. Aveva sposato Cetrina Gaggelli che era di capigliatura cresta, appartenendo ad una delle famiglie discendenti dal famoso "negro", che vi abbiamo raccontato in altro capitolo. Incitava Ampelio ad andare in Africa nel 1935/36 quando molti Poggibonsesi vi erano andati a cercare lavoro e fortuna, trovandola anche se a costo di duro lavoro. E questo non stava bene ad Ampelio ed a seguito dei continui inviti della moglie un giorno, che non ne poteva più le disse: «Vacci te, ci so', anche i tu parenti» alludendo alla capigliatura della moglie.
Oreste Pertici aveva sposato Francesca Gaggelli. Andando a spasso la domenica, la moglie gli faceva notare che era passata la vedova del tale e che aveva comprato la borsa nuova. Poi era passata la vedova del talaltro ed aveva il soprabito nuovo e via dicendo. Al che, Oreste incazzato le disse: «Va bene, ho capito, vuol dire che morirò anch'io e ti comprerai la borsa nuova».
L'arte del vetro si sviluppo enormemente in Francia intorno al 1700.
Numerose famiglie si tramandarono il sistema di lavorazione del vetro di padre in figlio. Una di queste famiglie erano i Savoldi che dividendosi in vari rami si trasferirono anche in Italia e precisamente a Venezia, dove fra l'altro furono i fondatori delle vetrerie di Murano, a Poggibonsi e a Napoli. Uno di questi Savoldi, un certo Raffaello si trasferì in Argentina ed a Buenos Aires sposo Fenix Victory e da questa unione nacquero tre figli: Edoardo, Carola e Flaminio. Raffaello pero era un carattere non certo domabile, si proclamava anarchico, sicuramente incostante. Voile ritornare in Italia, pero solo con il figlio Edoardo e si stabilirono a Poggibonsi. Edoardo adulto sposo Rosa Papini di Colle ed ebbe due figli. La prima Fenix che sposo Fortunato Consortini ed il secondo, Aldo che sposo Cherubina Pupilli. Come vedete il nome della nonna Fenix non e altro che la traduzione di "Fenice" che come ben sapete la mitologia sostiene essere un uccello che risorge sempre dalle proprie ceneri. E questa e la prima volta. Ma andiamo avanti. Dalle nozze di Fortunato e Fenix nacquero tre figli: Gianni, Isa e Gloria che andò sposa a Terzo Giorli e da quest'unione ancora una volta abbiamo una Fenix assieme a Giorgio. Anche stavolta il nome della nonna e la tradizione della "Fenice". (Fenix e Fattuale consorte dell'Arch. Iacopi).
Ma i Savoldi rimasti in Argentina che fine hanno fatto? Non sappiamo molto, ma sappiamo solo che Edoardo fece ricerche della madre e del fratello e della sorella. Intorno ai primi del 1900 ci furono scambi di lettere con la madre e ci sono gli originali in mano a Cherubina, lettere compilate da un traduttore in quanto Fenix non sapeva scrivere. Questi scambi di missive effettuate dal 1920 in poi non hanno dato nessun esito ed a tutt'oggi non si hanno più notizie dei Savoldi d'Argentina.
P.S: A Murano, nella saletta di riunione dei soci della Cooperativa, vi sono riprodotti sul cornicione superiore gli stemmi dei fondatori delle vetrerie Muranesi. Fra questi vi e lo stemma della famiglia Savoldi.
Era molto di moda, per alcuni personaggi, dotarsi di biglietti da visita da presentare in determinate occasioni. Anche Brunetto Bruschi, sarto in Via Costantino Marmocchi, ricoprendo la carica di segretario della Misericordia, sentì il bisogno del biglietto da visita. E cosi lo fece stampare "Brunetto Bruschi, segretario particolare del Governatore Generale dell'Arci Confraternita di Misericordia". Non credo che qualche Ministro sia stato in grado di presentare tali credenziali.
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